Il ruolo delle Imprese nella promozione dell’Inclusione Sociale

In un tempo segnato da transizioni profonde, digitali, demografiche, ambientali, il concetto di inclusione sociale non è più relegato alla sfera delle politiche pubbliche o del Terzo Settore. Sempre più spesso, sono le imprese a trovarsi in prima linea nel promuovere percorsi di equità, partecipazione e accesso alle opportunità, contribuendo a ridurre le disuguaglianze che ancora attraversano la nostra società.

L’inclusione sociale, del resto, non è una voce a margine nei programmi internazionali di sviluppo. Lo dimostrano l’Agenda 2030 dell’ONU, le linee guida dell’Unione Europea e, in ambito nazionale, gli obiettivi trasversali del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Ma al di là dei riferimenti normativi, ciò che cambia davvero il quadro è la crescente consapevolezza del mondo imprenditoriale: oggi più che mai, essere inclusivi non è solo una scelta etica, ma una strategia di valore.
Le imprese come motori di cambiamento
Nel panorama italiano, molte aziende stanno ridefinendo il proprio ruolo, passando da semplici produttrici di beni e servizi a veri e propri agenti di trasformazione sociale. Un passaggio che si riflette nell’evoluzione della responsabilità sociale d’impresa, sempre più orientata ai criteri ESG (Environmental, Social, Governance), che includono, tra gli altri, l’impegno concreto verso l’inclusione.

Si moltiplicano i progetti che promuovono l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, che valorizzano la diversità nei luoghi di lavoro e che avviano collaborazioni strutturate con cooperative sociali, associazioni e fondazioni. Non si tratta solo di grandi imprese: anche molte piccole e medie aziende italiane si stanno distinguendo per iniziative virtuose, spesso costruite a livello territoriale, in rete con gli attori locali.

Secondo l’Osservatorio sulla CSR, nel 2023 oltre il 60% delle imprese italiane con più di 50 dipendenti ha dichiarato di aver adottato almeno una policy inclusiva. Un dato significativo, che conferma un trend in crescita e rivela un cambiamento culturale già in atto.


L’inclusione non è solo una questione di giustizia sociale. È anche, e sempre più, un potente fattore competitivo. Numerosi studi dimostrano che i contesti lavorativi inclusivi generano maggiore innovazione, migliorano il clima organizzativo e rafforzano la capacità di attrarre e trattenere i talenti.
Il report Diversity Wins pubblicato da McKinsey nel 2023 evidenzia come le aziende con team eterogenei abbiano una probabilità del 36% superiore di ottenere performance economiche superiori alla media. Un risultato che riflette l’importanza di valorizzare punti di vista diversi, competenze trasversali e approcci complementari.
A rendere l’inclusione ancora più centrale è la spinta delle nuove generazioni. I giovani, in particolare la Generazione Z, chiedono coerenza tra i valori dichiarati e le pratiche aziendali. Per loro, lavorare in un’organizzazione attenta all’equità, alla diversità e alla partecipazione non è un “plus”, ma una condizione di base.
Il sistema pubblico, da parte sua, ha messo a disposizione strumenti concreti per sostenere le imprese che scelgono di investire nell’inclusione. Dalla storica Legge 68/99, che promuove l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, ai più recenti incentivi INPS per l’assunzione di giovani e soggetti fragili, fino ai bandi PNRR orientati alla coesione sociale e all’imprenditoria femminile.
Anche i Programmi regionali del Fondo Sociale Europeo prevedono misure dedicate all’inserimento lavorativo, alla formazione e alla valorizzazione delle competenze nei contesti più vulnerabili. In molti casi, le imprese possono attivare percorsi inclusivi in collaborazione con enti accreditati, cooperative e agenzie per il lavoro, costruendo progetti su misura.
Il vantaggio, in questi casi, è duplice: da un lato si accede a incentivi economici o fiscali, dall’altro si contribuisce in modo concreto alla costruzione di una società più coesa, capace di non lasciare indietro nessuno.
Nonostante i passi avanti, restano ancora alcune barriere da superare. Per molte piccole imprese, la promozione dell’inclusione si scontra con la scarsità di risorse, la mancanza di competenze specifiche e l’assenza di figure dedicate alla gestione del cambiamento organizzativo.
A questo si aggiunge una sfida nuova, ma non meno rilevante: quella del divario digitale. Se la digitalizzazione offre opportunità straordinarie per abbattere barriere e creare accesso, rischia al contempo di escludere chi non dispone delle competenze o delle tecnologie necessarie. In questo scenario, le imprese sono chiamate a interpretare l’innovazione non solo come un fatto tecnico, ma anche sociale.

Un altro passaggio cruciale riguarda la capacità di misurare l’impatto. Sempre più realtà stanno introducendo strumenti di valutazione sociale, come i report ESG o le metriche di Social Impact Assessment, per rendere visibile, e valutabile, il proprio contributo in termini di inclusione e coesione.
Guardando al futuro, appare chiaro come l’inclusione sociale non debba essere considerata un costo o un vincolo, ma un investimento sul lungo periodo. Un investimento che genera valore condiviso, rafforza la reputazione, migliora la competitività e costruisce legami più solidi con il territorio e con la comunità.
Le imprese che sapranno assumere un ruolo attivo in questo campo saranno protagoniste di un’economia nuova, più attenta alle persone e alle loro potenzialità. Un’economia che non si limita a crescere, ma che cresce includendo.

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