Viviamo in un tempo in cui la verità ha perso il suo peso specifico. I social network, le piattaforme di messaggistica istantanea e un’informazione spesso non verificata, contribuiscono ogni giorno alla diffusione di notizie false, approssimative o manipolate. In questo mare digitale, la salute è uno degli ambiti più colpiti: dall’alimentazione alle cure mediche, dai vaccini ai virus, tutto può diventare oggetto di bufale virali capaci di mettere a rischio la vita delle persone.
In questo scenario confuso, il concetto di prevenzione assume un valore nuovo, ancora più centrale. Non solo come pratica sanitaria per evitare malattie e migliorare la qualità della vita, ma come strumento culturale, come presidio di conoscenza che ci permette di riconoscere il vero dal falso, il dato scientifico dalle voci infondate.
Negli ultimi anni, la pandemia da Covid-19 ha messo a nudo quanto la disinformazione possa essere pericolosa. Dalla negazione del virus alle teorie cospirazioniste sui vaccini, milioni di persone hanno scelto di non tutelarsi perché influenzate da una narrativa parallela. Ma il fenomeno non si è fermato alla pandemia. Si moltiplicano le fake news su malattie croniche, diete miracolose, trattamenti alternativi che promettono guarigioni impossibili.


Il problema è strutturale: quando l’informazione corre più veloce della verifica, quando l’emotività prevale sull’evidenza scientifica, il rischio è che la prevenzione vera venga ignorata a favore della suggestione. Le campagne informative, quelle serie e fondate sui dati, hanno oggi un compito doppio: devono informare sulla salute e disinnescare la menzogna. È una sfida che coinvolge medici, istituzioni, giornalisti, ma anche scuole, famiglie e aziende del settore.
La prevenzione non è più solo la mammografia fatta in tempo o il controllo della pressione arteriosa. È anche la scelta di affidarsi a fonti ufficiali, di non alimentare il passaparola incontrollato, di leggere prima di condividere. È la capacità di dubitare di ciò che semplifica troppo, di ciò che promette senza spiegare, di ciò che cavalca l’allarme per guadagnare consenso.
Servono strumenti nuovi: ma soprattutto serve un patto tra informazione e responsabilità. Non si può pensare che l’informazione scientifica resti confinata a circoli accademici o a pubblicazioni specializzate. Deve diventare linguaggio comune, deve saper arrivare alle persone con parole chiare. E serve una cittadinanza consapevole, pronta ad allenare il senso critico e a sviluppare una piena responsabilità collettiva.