L’estate è sinonimo di vacanza, di valigie pronte e di giornate lunghe passate tra mare, montagna e borghi da cartolina. Ma c’è un’altra faccia della stagione estiva, spesso invisibile a chi viaggia e si rilassa: è quella di chi lavora affinché gli altri possano rilassarsi. Camerieri, receptionist, cuochi, addetti alle pulizie, bagnini, animatori, guide turistiche.
L’estate è il momento dell’anno in cui il lavoro stagionale si accende con forza, alimentato dal boom del turismo e dall’esigenza di accogliere milioni di visitatori, sia italiani che stranieri. Le regioni più gettonate? Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana e Trentino-Alto Adige. Ma anche laghi, città d’arte e località collinari vivono la loro stagione d’oro.
Eppure, c’è un problema che si ripresenta puntualmente ogni anno: la difficoltà di reperire personale stagionale. Si parla di decine di migliaia di posizioni ancora scoperte, nonostante l’aumento delle offerte, dei contratti a termine e degli incentivi promessi da aziende e istituzioni. Molti albergatori e ristoratori denunciano una crescente disaffezione verso questi lavori, vissuti da molti come troppo faticosi, poco stabili e mal pagati.
La realtà, però, è più complessa. Il lavoro stagionale richiede adattabilità, spirito di sacrificio e spesso comporta spostamenti, vitto e alloggio fuori casa. Le nuove generazioni faticano a riconoscere valore e lo spirito di queste esperienze. Eppure, in termini statistici, proprio i lavori stagionali rappresentano una leva fondamentale per l’economia italiana. Il turismo, con l’indotto che genera, incide in maniera sostanziale sul PIL nazionale.
Il personale stagionale è la spina dorsale dell’offerta turistica. Formare e valorizzare questi lavoratori è una priorità per il settore. Servono percorsi di crescita, contratti più stabili, incentivi alla mobilità e, soprattutto, una narrazione diversa, che nobiliti ed esalti chi lavora mentre gli altri si godono le vacanze.

In un’Italia che si scopre sempre più destinazione turistica globale, occorre superare l’idea che i lavori estivi siano “di ripiego” o riservati solo agli studenti. Fare stagione significa anche formarsi, mettersi in gioco, entrare in contatto con il mondo, imparare una lingua, scoprire il valore del servizio. E, per molti, può essere l’inizio di una carriera o il trampolino per nuove opportunità.
Il lavoro stagionale è precario solo se lo si tratta come tale. Al contrario, può diventare un banco di prova di serietà e professionalità, una vera scuola di vita. Ma per farlo servono maggiori investimenti, tutele e visione. Perché l’estate italiana, con il suo mare da sogno e le sue città d’arte, ha bisogno di braccia, menti e sorrisi per continuare ad accogliere il mondo.