Formazione Continua, la vera sfida del lavoro contemporaneo

In un mondo del lavoro in costante evoluzione, la formazione continua non è più solo un’opzione, ma è diventata una necessità. In Italia, colmare il gap di competenze è la vera sfida per restare competitivi, inclusivi e sostenibili. Ma siamo davvero pronti a raccoglierla?
Il lavoro cambia, le competenze evolvono, i modelli organizzativi si trasformano. Ma se c’è una certezza che accompagna ogni rivoluzione professionale, è che investire nelle persone rappresenta sempre la mossa più strategica per qualsiasi azienda. In questo scenario, la formazione continua diventa non solo un vantaggio competitivo, ma il vero baricentro del lavoro contemporaneo.
Oggi più che mai, il concetto di learning by doing ha lasciato spazio a un’idea più strutturata e consapevole di crescita professionale, in cui l’upskilling (sviluppo di competenze esistenti) e il reskilling (acquisizione di nuove skill) sono strumenti imprescindibili per affrontare un mercato del lavoro segnato da digitalizzazione, automazione e transizioni verdi.
Per le aziende italiane, la formazione dovrebbe essere vista non come un costo da tagliare nei momenti di crisi, ma come un investimento strategico. Il ritorno è doppio: da un lato aumenta la produttività e riduce il turnover, dall’altro costruisce un ambiente di lavoro più motivato, inclusivo e orientato all’innovazione.
Non è un caso se il PNRR e il Piano Nazionale Nuove Competenze hanno individuato la formazione continua come uno dei pilastri per la crescita economica e sociale del Paese. Le risorse ci sono, così come le linee guida. Quello che serve, ora, è un cambio di mentalità.
Uno degli strumenti più potenti per favorire la formazione continua è un onboarding personalizzato, capace di accogliere i nuovi assunti con percorsi pensati su misura. In Italia, molte aziende stanno finalmente iniziando a comprendere che un onboarding efficace è il primo passo per colmare il gap tra competenze teoriche e operative.
Altrettanto cruciale è il mentoring: un’attività troppo spesso trascurata, ma che fa la differenza tra un inserimento superficiale e uno davvero trasformativo. Secondo una ricerca Adobe, l’83% dei giovani della Generazione Z ritiene fondamentale avere una figura di riferimento in azienda, ma solo la metà ne ha davvero una.


Eppure, avere un mentore che trasferisca competenze, valori e cultura aziendale è uno degli strumenti più efficaci per creare engagement e ridurre il tasso di abbandono precoce. Ed è così che i middle manager diventano il cuore pulsante della formazione sul campo. Ma troppo spesso sono lasciati soli, con agende impossibili e obiettivi individuali che non lasciano spazio alla cura del team. È un errore strategico. Un manager che forma e guida i suoi collaboratori non solo aumenta la produttività, ma crea coesione e senso di appartenenza.

La soluzione? Alleggerire il carico operativo, fornire strumenti formativi adeguati, e inserire obiettivi di mentoring nei sistemi di valutazione. In questo modo, la formazione smette di essere un’attività accessoria e diventa parte integrante della vita aziendale.

La vera sfida è costruire percorsi ibridi e personalizzati, che combinino strumenti digitali (piattaforme, video, microlearning) con attività esperienziali e momenti di riflessione collettiva. Non basta “fare formazione”: bisogna farla bene, tenendo conto dei diversi stili di apprendimento, dei tempi individuali e delle esigenze dei team.

Uno degli aspetti più critici del panorama formativo italiano è la disuguaglianza di accesso. Le categorie più vulnerabili – lavoratori con bassa scolarizzazione, donne, migranti, over 50 – sono anche quelle che meno beneficiano dei programmi formativi. Serve una svolta inclusiva. Un onboarding davvero inclusivo tiene conto delle differenze ed è in grado di valorizzarle, creando un ambiente dove la pluralità diventa ricchezza, e non ostacolo.

Per troppo tempo, dicevamo, la formazione in Italia è stata considerata un “optional”. Una voce di spesa da tagliare nei periodi di crisi. Ma la pandemia prima e le grandi trasformazioni del lavoro poi, ci hanno dimostrato che questa logica non regge più.
Le aziende che scelgono di investire nei propri dipendenti, formandoli, ascoltandoli e supportandoli nella crescita, non solo registrano migliori performance, ma costruiscono comunità professionali più coese, resilienti e felici.

Il mondo del lavoro sta cambiando. Le competenze richieste non sono più statiche, ma in costante evoluzione. In questo contesto, la formazione continua non è solo una sfida: è la leva decisiva per la trasformazione culturale ed economica del Paese. Perché in un contesto che cambia, la vera sfida è saper stare al passo coi tempi senza lasciare indietro nessuno.

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